IL PERCORSO

Come organizzare il cammino 

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Come è noto, il percorso della via Francigena che oggi si conosce è quello descritto nel suo diario di viaggio dall’Arcivescovo Sigerico, nel ritorno da Roma verso Canterbury tra il 990 e il 994. Giunto a Pontremoli e dovendo attraversare l’Appennino, Sigerico scelse la via del passo della Cisa (Monte Bardone), che consentiva di raggiungere, disegnando un ampio arco, le città della pianura ( Fidenza, Piacenza, Pavia).

Esisteva tuttavia anche un’altra via attraverso i monti, percorsa fin dal VII secolo soprattutto da chi viaggiava a piedi, quale tragitto più breve da Pavia a Lucca e verso Roma. L’itinerario, utilizzato già dai sovrani longobardi prima della conquista della Cisa, controllata dai bizantini, toccava anche l’abbazia di Bobbio, dove i pellegrini diretti a Roma e provenienti dalla Francia e dalle Isole Britanniche passavano a venerare le spoglie di San Colombano (+615), grande abate irlandese e padre, con San Benedetto, del monachesimo europeo. Per questo già in età longobarda, lungo il percorso, oltreché a Pavia ed a Lucca, sorgevano “hospitales” di San Colombano. Il tragitto era parimenti seguito dagli abati di Bobbio per andare a Roma presso il pontefice, da cui l’abbazia direttamente dipendeva.

Sezione PAVIA-BOBBIO

La sezione individuata che collega Pavia e Bobbio (passando per Caminata, Pometo, Canevino, Cella e altre località storiche) è lunga 66 km e può considerarsi il prolungamento della Via degli Abati, permettendo in tal modo di individuare la Variante Appenninica della Via Francigena, congiungendo Pavia e Bobbio a Pontremoli.

Paolo Diacono, lo storico dei Longobardi, scrive nella sua “Historia Langobardorum” che Bobbio dista da Pavia 40 miglia, pari a circa 60 chilometri. La via più breve che si è potuta individuare (passando per Canevino) è lunga 68 km. I monaci del Monastero di Bobbio, guidati dall’abate Gerlanno, nei giorni 17, 18 e 19 luglio 929, trasportarono le reliquie di San Colombano da Bobbio a Pavia per rivendicare davanti al re Ugo di Provenza i beni del Monastero, usurpati dal vescovo di Piacenza Guido e da altri feudatari. Il primo giorno giunsero a Zavattarello; il secondo giorno passarono per Canevino (dove avviene il prodigio del bambino muto dalla nascita che inizia a parlare al passaggio delle reliquie) arrivando al Po per la sera; il terzo giorno giunsero a Pavia, dove nella chiesa di San Michele vennero depositate le reliquie di San Colombano (che saranno successivamente riportate a Bobbio).

Il percorso, che da Pavia punta verso le colline dell’Oltrepò e quindi verso il crinale appenninico del monte Penice, si compone di tre parti, di quasi eguale lunghezza (circa 20 chilometri ciascuna): una prima di pianura (da Pavia a Broni ed alla prima collina); una seconda di collina (che si conclude a Pometo /Caminata); una terza di alta collina e montagna (da Caminata al crinale del Penice), al termine della quale si scollina per poi scendere a Bobbio.

Tappa Pavia-Colombarone

Da Pavia si esce alla periferia est, passando vicino alla chiesetta romanica di San Lazzaro dei pellegrini e seguendo la Via Francigena. Al termine delle case si lascia la Via Francigena e si punta verso sud, seguendo la Green Way del Parco del Ticino. Il sentiero è stato ripulito recentemente dalla vegetazione spontanea e l’Ente Parco del Ticino vi ha fatto collocare alcune tabelle segnavia (modello bianco-rosso tipo CAI, sigla GW). Si segue il sentiero che corre parallelo al fiume fino al Ponte della Becca, alla confluenza Po-Ticino (6 km). Il transito sul ponte è oggi consentito solo alle autovetture a velocità limitata (40/50 km./h), oltre ovviamente a pedoni e ciclisti. Superato il ponte, si prende a sinistra l’argine maestro del Po (sterrato e senza traffico) che costeggia il fiume e poi piega verso le colline, in direzione Broni-Stradella. A Broni (16 chilometri da Pavia: via dei Mille, via Cairoli, via Volta, via Emilia, via Dante, infine via Monte Grappa) si risale la via dell’Acqua Calda vecchia (sterrata e senza traffico) fino a Colombarone (18 km), all’inizio del crinale delle colline che separano la valle Scuropasso dalla valle Versa.

Tappa Colombarone-Pometo

Da Colombarone si segue quindi il crinale per intero (strada provinciale dell’Acqua Calda, asfaltata ma con scarso traffico, solo locale) incontrando in successione le località di Castana, Sannazzaro, Cella, Spagna e Francia (queste ultime saltate nella foto copiatura del foglio B) e quindi Ca’ Tessitori (in alto del foglio C), dove si devia per la carrareccia fino a Canevino ed infine a Pometo (38 chilometri da Pavia).

Tappa Pometo-Bobbio

Da Pometo si scende in 4 chilometri nella val Tidone a Caminata, antico borgo fortificato (oggi in provincia di Piacenza), si passa il ponte sul fiume e si incomincia la risalita verso Ronchi, Trebecco, Fontanasso, Casa Bobbiese, Ca’ dei Giorgi, Cappelletta (26-69), dove si scollina verso sud-est e poi a quota 752 (69/27E) si va verso sud (alle spalle si lascia Ca’di Lazzarello). Da lì, seguendo il sentiero CAI 219-19, si arriva a Praticchia-Grazzi (56 km. circa da Pavia). Da Praticchia-Grazzi (12 km. da Bobbio) sentiero CAI 201-19 verso sud fino a incrociare il 201, lo si segue fino al 101 e seguendo le frecce CAI (di cui non si hanno i numeri perché segnate recentemente), sempre verso sud, si arriva in località Sassi Neri. Si esce sulla strada asfaltata del Penice e (svoltando a sinistra e poi a destra) ci si trova ad incrociare la strada comunale asfaltata per Gorazze, che si imbocca in discesa. Dopo alcune centinaia di metri (località Croce), a sinistra, si stacca carrareccia che scendendo passa per l’oratorio della Madonna di Caravaggio e, lasciando egualmente a sinistra Castighino, prosegue su asfalto fino ad arrivare in località La Valle. Appena fuori l’abitato di La Valle, verso sud, si imbocca a sinistra carrareccia (detta la Squera, vecchia Strada del Sale per Milano) e in 20’ si giunge a Bobbio.

Sezione Bobbio-Pontremoli

L’itinerario che collega Bobbio e Pontremoli era seguito normalmente dagli abati per andare a Roma, ma si potevano incontravare persone e mezzi che dai possedimenti del Monastero in Val Taro, Val Ceno e Toscana, andavano e tornavano da Bobbio. Non mancavano poi i pellegrini, irlandesi e non, ecclesiastici e laici, che, nel viaggio a Roma, includevano una sosta all’abbazia per visitare la tomba di San Colombano. I monaci gestivano infatti, dall’862, un ospizio a Piacenza, in Santa Brigida, dedicato in prevalenza ad accogliere proprio i pellegrini irlandesi che si recavano al monastero di Bobbio e alla città di San Pietro. E non saranno certo mancati, almeno in alcuni periodi, transiti di eserciti, di briganti, di contrabbandieri.

I) Tratto Bobbio – Boccolo dei Tassi – Bardi, in cui un fascio di strade consente di attraversare il territorio di Coli e la Val Nure, utilizzando di volta in volta i percorsi possibili per arrivare a Boccolo dei Tassi, punto fermo per gli abati di Bobbio, che qui potevano sostare prima di arrivare a Bardi.
II) Tratto Bardi – Borgo Val di Taro – Pontremoli, che si sovrappone in parte alla cosiddetta “Via dei Monasteri”, che collegava le fondazioni regie della pianura con quelle di Val di Tolla, Gravago e Pontremoli, per poi proseguire verso Roma. La strada delineata registra dei punti obbligati, dove erano dipendenze dei monaci di San Colombano, ricordate nel Codice diplomatico del Monastero di Bobbio, fissati i quali diventa più facile identificare il percorso, agibile ancora oggi con poche varianti. I punti individuati sono: Bobbio, Boccolo dei Tassi, Monastero di Gravago, Borgo Val di Taro, Passo del Borgallo, Pontremoli.

Tappa Bobbio-Nicelli/Mareto
Dall’Abbazia di Bobbio, attraversato il Ponte Gobbo, si sale verso Case Gambado, Bellocchi, Santa Cecilia, per giungere a Coli: nei pressi la Grotta di S. Michele. Poi, passati i resti del Castello dei Magrini e attraversato il Curiasca, si raggiunge l’ex edificio fortificato di Faraneto: da qui vediamo a circa 500 metri Peli, dove, preesistente alla chiesa, sorgeva una fortificazione. Si raggiunge Pescina, località in cui sono stati ritrovati resti di strutture altomedievali e si sale verso la Sella dei Generali, dove testimonianze orali ricordano ruderi di una torre di guardia posta probabilmente a controllo del percorso.
Si giunge al Fontanone e si scende a Nicelli. Il castello, oggi scomparso, si dice fu dato come “dono distintissimo” da Carlo Magno Imperatore ai Nicelli, potenti signori dell’alta Val Nure che lo avevano ben servito nella guerra contro Desiderio. E’ nominato come “corte dei Nicelli” nell’investitura concessa dall’imperatore Ottone all’abate di Bobbio. Il primo atto certo è del 1207. Gli attuali resti della casa-torre conservano qualche traccia dell’architettura altomedievale. Da Nicelli s’intravede Mareto (fine tappa alternativo), non lontano da Cogno San Savino, già citato in un documento del 999. Del castello oggi rimane solo l’area su cui sorgeva, mentre possiamo ammirare la bellissima torre romanica della chiesa.

Tappa Nicelli-Groppallo

Da Nicelli, attraversate le località Molino de Mortè, Vigonzano e Guglieri, si raggiunge Crocelobbia: qui, oltrepassata la chiesa, se le condizioni meteo-climatiche lo consentono (più facilmente nel periodo estivo), è possibile guadare il Nure. In caso contrario si può deviare sulla variante per Farini (dove c’è possibilità di ristoro) e Canova. Si imbocca infine la mulattiera per Groppazzolo, località che si raggiunge percorrendo sia la via “principale” che la variante. Da quest’ultimo agglomerato, già luogo fortificato della famiglia omonima, fiera nemica dei Nicelli, si sale a Groppallo.

Tappa Groppallo-Bardi

Da Groppallo si va verso Croce. Nei suoi pressi, in località Tornara (fuori percorso), si trova la torre omonima, di guardia alla strada che collegava il piacentino al parmense. Inizialmente a quattro piani, la torre è oggi ridotta a tre. Citato in un atto del 1576, l’edificio era abitato da messer Bernardo Cavanna, proprietario di terre e di ben 925 capi di bestiame.
Scendendo da Croce verso Selva Sotto, in mezzo a due rivi, troviamo la Torre medievale di Sant’Antonino, oggi in cattive condizioni. Attraversata la strada provinciale, si sale a Selva Sopra e si prosegue per Bruzzi e il passo di Linguadà, si scende verso Le Chiastre e, superata una curva, si prende a sinistra per Boccolo dei Tassi.
Circa 750 metri prima del passo di Linguadà, se la stagione lo consente, è possibile immettersi a sinistra sulla variante panoramica e impegnativa del Monte Lama, che, seguendo i segnavia bianchi-rossi, permette di raggiungere Bardi evitando alcuni tratti della SP 77. Il monte Lama, la più grande placca di diaspro dell’Emilia-Romagna, dove numerosi sono i ritrovamenti di età Paleolitica, raggiunge un’altezza di 1345 m.s.l.m. Dalla cima, tra faggi contorti dal vento, serpentini e diaspri, si gode una vista stupenda sulle Alpi e sugli Appennini. Lungo i crinali, nascondiglio sicuro di numerosi partigiani nell’ultimo conflitto, oggi si raccolgono funghi e frutti del sottobosco, accompagnati dallo sguardo dei cavalli di razza bardigiana al pascolo.
A Boccolo dei Tassi esisteva, infra vallem, una chiesa con hospitale per accogliere pellegrini, viandanti, malati e poveri. La chiesa, di cui l’abate di Bobbio aveva il diritto di nominare il cappellano, era dedicata a San Pietro, venerato anche dai Longobardi come portinaio del cielo. Essa era al centro di alcuni ricchi poderi, come si può dedurre dall’ammontare del canone, pari a circa un quarto dei ricavi, che questi pagavano all’abbazia: 93 moggia di cereali, oltre a fieno, giornate lavorative, ecc. I resti dell’ospizio, recentemente ritrovati, sono situati in sponda sinistra del torrente Dorbora, presso l’antico tracciato Linguadà – Bardi. Della chiesa precedente, più volte riedificata e infine abbandonata definitivamente, rimane una statua di San Pietro, conservata nell’attuale edificio di culto.
Dalla frazione si prosegue in direzione Cerreto, si rientra sulla strada provinciale e dopo circa 1 chilometro si prende a sinistra il sentiero per Cogno di Grezzo. Da li si torna sulla SP 77, si attraversa l’abitato di Grezzo per poi raggiungere, dopo circa 3 chilometri, la Chiesa romanica di S. Siro, da cui si gode una bella vista della valle del Ceno e della Fortezza di Bardi. Questa, documentata già nell’898, ed edificata probabilmente contro l’avanzata degli Ungari, in posizione strategica, domina ancor oggi il torrente e gli affluenti Noveglia e Toncina. L’attuale struttura si deve a numerosi ampliamenti, voluti soprattutto tra ‘400 e ‘500 da Manfredo, Agostino, Claudio Landi, e, tra ‘500 e ‘600, dal principe Federico, che trasforma la rocca medievale in fastosa residenza signorile. Con l’estinguersi della dinastia (1679) – l’ultima Landi sposerà un Doria di Genova -, il castello sarà ceduto ai Farnese e, divenuto presidio militare, seguirà le sorti del Ducato di Parma e Piacenza sino all’unità d’Italia, quando diventerà proprietà del Comune.
Attualmente la fortezza è sede dei Musei della Civiltà Contadina e del Bracconaggio, ed è inoltre inserita nel circuito dei “Castelli del Ducato”. Interessanti le sale affrescate con le rappresentazioni dei domini delle famiglie Landi e Grimaldi di Monaco: Maria Landi sposò infatti, nel 1595, Ercole Grimaldi; il loro figlio, Onorato, ereditando il titolo dalla madre, sarà il primo principe di Monaco. Ai piedi del castello sorge la chiesa sconsacrata di San Francesco, fatta erigere negli anni 1571-1579 da Giovanna di Cordova e Aragona, moglie di Claudio Landi, quale Pantheon di famiglia. Sotto Federico la cura dell’edificio, riedificato nell’aspetto odierno, passò ai frati Francescani di Genova e vi fu annesso un convento soppresso in età napoleonica. L’attuale auditorium, di proprietà comunale e gestito dal Centro Studi della Valle del Ceno, è sede di mostre, conferenze, concerti.
La sosta a Bardi consente di visitare le chiese di San Giovanni (1500-1700) e dell Addolorata (ca. 1930), che conserva un’importante pala del Parmigianino, il centro storico con i suoi vicoli, l’ex palazzo Maria Luigia, forse sede della comunità in epoca Landi e riadattato in seguito dalla contessa, che lo dotò anche di un teatro, oggi trasformato in sala conferenze.
A 1 chilometro il settecentesco oratorio di Santa Maria delle Grazie, a 6 chilometri la pieve di Casanova (fuori cartografia), con all’interno strutture del X-XII secolo e un’importante “Assunzione” del manierista Malosso.
Attorno a Bardi si alzano le cime dei monti Ragola e Nero (dove sopravvive l’unica enclave di Pinus Uncinata Miller), Pelpi, Barigazzo (su di un pianoro a 977 m.s.l.m. sorgono i resti del castelliere altomedievale di Città d’Umbria), Carameto, Lama, ecc., mete raggiungibili attraverso sentieri immersi in una natura che merita di essere riscoperta.

Tappa Bardi-Borgo Val di Taro

Scesi da Bardi lungo la vecchia strada comunale (803) e attraversato il Ceno sull’attuale ponte (il guado era leggermente più a valle, in località Tolarolo), si risale la sponda orografica destra del torrente Noveglia verso Chiappa, da dove, girando a destra (803b), si va verso Predario: entrambi i toponimi ricordano l’attività principe della zona, l’estrazione di arenaria da costruzione. Dopo circa 1 chilometro si prende il sentiero sterrato a sinistra per giungere a Monastero di Gravago. Particolarmente interessanti i resti della vicina “Caminata” fortificato del capostipite della famiglia Landi, Ubertino, e la chiesa dedicata a San Michele. Quest’ultima, oggi di linee barocche, ha origine, con l’annesso monastero, nell’VIII secolo e la troviamo citata in un diploma di Liutprando del 744.
Preso il sentiero che sale verso le Tre Croci e attraversato un gruppo di case si rientra per un breve tratto sulla strada asfaltata per raggiungere Brè, interessante per l’antico agglomerato urbano con casa-torre.
Si scende verso il torrente Rosta, conosciuto per le sue cascate, e lo si guada nei pressi di un molino probabilmente attivo già nel XIII secolo a servizio della Caminata e del Castello di Gravago, i cui ruderi dominano la stretta valie insieme ai resti della torre detta “Battagliola”.
Giunti nei pressi di Gravago, lasciando a destra il bosco di castagni secolari di Sant’Anna, si passa accanto ad un lavatoio assai pregevole dal punto di vista architettonico, e proseguendo, si incontra la Pieve, al cui interno ammiriamo un bell’altare seicentesco proveniente dal Duomo di Massa.
Si prosegue a mezza costa sino al molino sul rio Brugnola: dietro al caseggiato ormai in rovina, i resti della canalizzazione e della vecchia vasca di accumulo dell’acqua, particolarmente interessante per le dimensioni.
Oltrepassato il molino, dopo circa 50 metri, si prende il sentiero a sinistra e si giunge ad Osacca, nel 1600 confine sud tra lo “Stato del Prencipe Landi” e il Ducato di Parma. Vi si trovano un oratorio, una Cappellina con una statua lignea di San Rocco (pellegrino a Santiago di Compostela), e il cippo commemorativo a ricordo del primo scontro a fuoco tra partigiani e nazifascisti avvenuto nella provincia di Parma: era la notte del 24 dicembre 1943.
Oltrepassate le ultime case ci si avvia verso La Ramata, dove inizia, sulla sinistra, il sentiero 843VA (che prosegue sino al Borgallo), e si cammina per raggiungere il crinale; qui si incontra un quadrivio (con indicazioni); superato-lo, sulla sinistra del percorso, sale il sentiero che porta alla cima del Monte Piano, punto panoramico significativo, a 1150 m.s.l.m.
Tornati sul tracciato, si prosegue sino a La Maestà e Pradonico, si scende a Rola e ci si avvia verso la chiesa di San Cristoforo, anch’essa di fondazione medievale come quella dedicata a San Pietro (situata poco più a valle, fuori percorso), per raggiungere monte Cappella, le Spiagge, Borgo Val di Taro.
Considerata la capitale della valle, la cittadina sorge all’interno di quella Curtis Turris che era forse la più vasta azienda-possedimento del Monastero di San Colombano di Bobbio: a metà del IX secolo, oltre ai terreni gestiti direttamente dai monaci, vi erano occupate 85 famiglie coloniche. Da queste il Monastero riceveva la quarta parte del prodotto dei cereali, la metà del vino e numerose prestazioni di lavoro.
A cavallo tra il X e l’XI secolo, troviamo come feudatari della valle i Platoni: inizialmente potenti livellari degli abati bobbiensi, approfittando del declino del cenobio, si appropriarono delle terre che avevano in custodia. Nel XII secolo il territorio entrò nel dominio del Comune di Piacenza e successivamente dei Principi Landi e di Ottavio Farnese, Duca di Parma, che i borghigiani nominarono loro Principe. Al ducato fece seguito il dominio dell’impero francese, di Maria Luigia d’Austria e dei Borbone, per giungere poi all’unità d’Italia.
La parte più antica del capoluogo è caratterizzata da un interessante tracciato viario, composto da tre lunghe vie parallele, attribuibile ad un piano urbanistico preordinato, che si ritiene dovuto all’istituzione di un borgo franco da parte del Comune di Piacenza. Edifici del ‘500 e del ‘700 presentano un rilevante interesse storico ed architet-tonico: Palazzo Bertucci, costruzione a cinque livelli verso il Taro, Palazzo Manara, sede della Biblioteca Manara, dotata di un notevole fondo antico con manoscritti, incunaboli, cinquecentine, Palazzo Boveri, straordinario per la ricca decorazione a stucchi inframmezzata dagli stemmi Farnese, Borbone e delle famiglie locali.
La chiesa parrocchiale, eretta intorno al 1665 e in seguito rimaneggiata, dedicata a Sant’Antonino, conserva un Crocifisso ligneo del Quattrocento, il coro ed importanti arredi. Altri edifici di culto sono San Rocco – dove si può ammirare una stupenda Via Crucis settecentesca di Gaspare Traversi -, e San Domenico, iniziato nel 1449 in stile tardogotico. Il Museo delle Mura, situato nel troncone dell’unica Torre rimasta a ricordo del castello medievale, accoglie testimonianze e cimeli della vita della città.
Il paese è capitale del fungo e sede del Consorzio del fungo porcino di Borgo Val di Taro (IGP).
A 5 chilometri dal capoluogo Porcigatone, nella cui chiesa parrocchiale si conserva un’imponente e drammatica Crocifissione del pittore seicentesco Giovanni Lanfranco, a 10 Compiano, caratteristico borgo medievale con castello che fu prima dei Malaspina e poi dei Landi, a 13 Bedonia, dove il Seminario Vescovile ospita l’antica biblioteca, una pinacoteca, l’Opera Omnia dello xilografo Romeo Musa, una ricca raccolta di testimonianze relative al Cardinale Agostino Casaroli, un museo di storia naturale e il planetario.
Non lontano da Borgo Val di Taro la Riserva Naturale dei Ghirardi, estesa su quasi 600 ettari, protegge un angolo di Appennino rimasto come un tempo. La particolare morfologia del territorio crea le condizioni per un mosaico di ambienti: incontriamo il falco lodolaio ai margini dei prati, usignoli, beccafichi e sparvieri nei boschi di roverella, mentre nei castagneti nidifica l’allocco e si nascondono cinghiali e caprioli.
Nei ruscelli, dove fiorisce l’orchidea Epipactis palustris, incontriamo libellule, vaironi e ghiozzi. Tra i pini costruisce il suo nido il grande biancone e le zone aperte, prati e coltivi, sono il regno della pernice rossa, dei fagiani e delle quaglie; vi si osservano upupe, rigoli, civette e succiacapre, e dalla primavera all’estate centinaia di fiori, fra i quali le rare Ophrys bertoloni. La Riserva Naturale è visitabile liberamente tutti i giorni dell’anno, accedendo a piedi da Porcigatone, seguendo i segnavia giallo/blu dell’Ippovia parmense. Ogni domenica dalle 10 alle 17 (18 in orario legale), è aperto il Centro Visite, in località Pradelle (sulla strada
Borgo Val di Taro – Porcigatone), dotato di un interessante percorso botanico.

Tappa Borgo Val di Taro-Pontremoli

Da Borgo Val di Taro un unico itinerario conduce al passo del Borgallo (m. 965). Ci si avvia lungo la strada per il cimitero – che conserva all’interno un Sacrario per i Caduti nella Resistenza, di belle forme – e poco oltre, nei pressi il Molino dell’Aglio, ultimo molino ad acqua della zona, fiancheggiando il cimitero e salendo a destra ci si dirige verso Valleto. Di qui si sale verso San Vincenzo, dove, vicino alla chiesa, una Maestà in marmo bianco, datata 1606, rappresenta la Vergine con il Bambino e a fianco San Rocco pellegrino, con bordone, cane, mantellina e conchiglia. Si scende verso il Tarodine e lo si attraversa sul ponte della provinciale per raggiungere l’abitato di Valdena, il cui nome deriva dai feudatari d’un tempo, gli Hena, diramazione dei Platoni.
Seguendo sempre il sentiero 843 in salita si raggiunge il Passo del Borgallo, nei cui pressi, ancora nell’Ottocento, sorgevano i resti dell’Ospizio di San Bartolomeo. Al di qua del crinale alcuni “termini” segnano gli antichi confini tra Ducato di Parma e Granducato di Toscana. Qui giunge il perimetro della Foresta demaniale del Brattello, con percorsi naturalistici ed aree attrezzate.
Sul crinale si incontra il sentiero 00, lo si segue sino ad un cippo che ricorda il sacrificio dei partigiani che combatterono su questi monti durante la Resistenza; dopo circa 200 metri il sentiero svolta a sinistra abbandonando lo 00, una deviazione a destra ci porta invece a Fontana Gilente, sorgente perenne, poco fuori percorso.
Scesi nella valle del Verde, in una zona ricoperta da una fitta boscaglia, ci si imbatte in un gruppo di case, Farfarà, si giunge alla Cascata della Pisciarotta e si guada il torrente. Poco oltre, si costeggia il Lago Verde, alimentato da acque sorgive.
Attraversato un vecchio castagneto ecco apparire Cervara: lungo la strada, di tanto in tanto, da pilastrini si affacciano bianchi bassorilievi devozionali in marmo, a ricordare che si è ormai prossimi alle cave delle Apuane. In paese la chiesa, dedicata a San Giorgio, rimanda forse ad origini longobarde; si conserva memoria di un Hospitale, costruito nel Trecento e si rinvengono tracce di culti apotropaici nei “facion”, mascheroni d’arenaria che dalle facciate delle case sembrano ancora oggi sfidare il tempo ed allontanare il male.
Superato il paese ed il cimitero attraversiamo il torrente Darnia e risaliamo verso Barca, punto panoramico da dove si possono ammirare la catena dell’Appennino dal Molinatico all’Orsaro e le Alpi Apuane, per giungere poi a Pra’ del Prete. Proprio di fronte s’erge la torre del castello di Grondola a controllare, dalla cima di un colle, i percorsi che si snodano lungo la valle. Il castello, nel medioevo, fu oggetto di aspre contese tra Piacentini, Parmigiani, Pontremolesi e Malaspina.
Scendendo s’incontra Vignola, sede di un’antica pieve: la chiesa conserva tracce dell’impianto romanico e di culti arcaici, i “pipin” (piccole sculture in legno). Nel coro una grande stampa seicentesca riproduce il Trionfo di Cristo di Tiziano.
Attraverso Casa Corvi si giunge a Pontremoli, con il suo centro storico, alla confluenza del Verde nel Magra. Il paese è dominato dal Castello del Piagnaro, sorto intorno all’XI secolo ed il cui nome discende dalle lastre di arenaria (piagne) che ricoprono i tetti. La fortezza, particolarmente interessante dal punto di vista architettonico, ospita il Museo Archeologico delle Statue Stele, antichissime sculture di pietra – le prime risalgono al Ill millennio a.C. -, che, giunte a noi dalla preistoria, ancora conservano il fascino di un mistero non compiutamente svelato. Il borgo, tappa della Francigena di Sigerico e luogo di sosta anche per gli abati e i pellegrini che da Bobbio si recavano a Roma, nel Medioevo era ritenuto “chiave e porta dell’Appennino” perché passaggio obbligato per quanti volevano accedere ai soprastanti valichi o scendere verso Roma. Splendidi Ponti Medievali congiungono i quartieri della città. Nella chiesa di San Pietro si conserva una testimonianza di questa sua antica vocazione viaria: il labirinto in pietra arenaria (XII secolo), simbolo del pellegrinaggio e della ricerca della meta da parte del viandante.
Il centro conserva i segni di uno sviluppo antico; ancora oggi è chiuso da porte e scandito da torri, di cui quella centrale, trasformata in campanile, divide la piazza civica da quella della cattedrale. Importanti ed eleganti palazzi settecenteschi ancora connotano l’abitato.
Tra gli edifici di culto si segnalano: il Duomo (seicentesco), in cui si conserva una statua lignea della Madonna col Bambino del XIII secolo, e la chiesa dei Santi Francesco e Colombano che, nel titolo, mantiene memoria di un antico legame con il monastero di Bobbio. A sud del centro storico è il sobborgo della Santissima Annunziata, con il santuario quattrocentesco che conserva pregevoli opere d’arte.